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Dougram

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Space Century, anno 153: il pianeta Deloyer, da sempre colonia della Federazione Terrestre con aspirazioni di indipendenza, è retto con pugno di ferro dal suo ultimo governo, fortemente sostenuto dai federali. I moti sono pronti a esplodere in una guerra civile. Crin, figlio di Denon Cashim, governatore federale, sposa la causa dei suoi amici deloyerani e, abbandonata la facoltosa famiglia, si unisce all’insurrezione entrando nel gruppo partigiano Zanna del Sole, diventando presto pilota del potentissimo robot Dougram. Il conflitto sarà lungo e terribile, e in esso si intrecceranno molteplici interessi politici ed economici.

Prodotto dalla Sunrise nel 1981 sulla scia del successo tardivo di Gundam, Taiyō no Kiba Daguramu (lett: ‘Dougram Zanna del Sole’, inedito in Italia) è il primo, vero figlio della concezione robotica realistica/matura inaugurata dal celebre Mobile Suit nel 1979. È anche il primo grande capolavoro nel genere realizzato da Ryousuke Takahashi, già regista per la Sunrise di Zero Tester, (1973) e del popolare Cyborg, i Nove Supermagnifici (1979); è una Prova, la sua, con la P maiuscola, una visione di culto che oggi, riscoperta dopo decenni di oblio, si aggiunge a quella decina di opere robotiche davvero fondamentali.

Per convincere a guardare una serie animata così vecchia, dai disegni funzionali e poco attraenti (prima, unica prova di character design dello sceneggiatore Soji Yoshikawa, con l’aiuto del veterano Norio Shioyama) e composta da ben 75 episodi, dirò che Dougram trascende la sua età. Takahashi racconta il primo, storico, dramma di guerra, analizzando un conflitto nel modo più pragmatico possibile, in tutte le sue sfaccettature politiche, economiche, sociali e militari: è con Dougram che il regista diventa uno degli uomini più importanti della Sunrise, costruendosi nell’ambiente un nome che è sinonimo di racconti dal background politico/militare curatissimo.

L’incipit è essenzialmente un riciclo di quello di Gundam a parti invertite (gli eroi stanno questa volta col fronte degli indipendentisti), ma è il modo di narrare che è antitetico: mentre Tomino racconta la guerra calandola in una storia di formazione dai toni epici e avventurosi, Takahashi lo fa in un modo così distaccato da farle perdere ogni residuo eroico, con una regia così arida da rasentare il reportage documentaristico – tanto che il film riassuntivo che esce un paio di anni dopo, Document Taiyō no Kiba Daguramu, seguendo questa dichiarazione d’intenti si presenta addirittura come tale. L’attenzione è focalizzata soprattutto sui giochi politici ed economici dei pezzi grossi che decidono le sorti del conflitto, più che sugli eroi che combattono in prima linea e che spesso sono spettatori passivi della Storia. Il regista dirà successivamente, in una sola frase, di aver voluto raccontare come si comportava la società in un mondo le cui guerre si basavano sull’uso di robot.

Estremamente realistico in queste dinamiche – memorabili le critiche rimediate all’epoca sulla rivista Animekku, secondo cui simili tematiche non potevano funzionare in una serie robotica –, Dougram si configura subito come una metafora della Guerra Fredda: un Paese dell’America Latina (il pianeta Deloyer) tenta di liberarsi dalle odiose interferenze degli USA (l’immaginario Stato di Medoul, ovviamente uno dei principali Paesi che reggono la Federazione Terrestre), che vi hanno instaurato un governo fantoccio sottomesso alle loro direttive; durante il conflitto i ribelli sono militarmente supportati, per ragioni ideologiche, da URSS e Cina (Kohod e Rodia), e la loro lotta ha quindi ripercussioni sulla politica, sull’economia e sull’opinione pubblica mondiali. Quest’intuizione segna quello che sarà il tratto fondamentale di tutte le future opere mecha di Ryousuke Takahashi: il setting ispirato o basato su vicende politiche contemporanee; e Dougram più di qualsiasi altro suo lavoro trasmette l’impressione di assistere a un vero scorcio di Storia: più e più volte la guerra d’indipendenza dei deloyerani, per effetto di ambientazioni, abbigliamenti e dettagli minori (per esempio la canzonetta rivoluzionaria spesso cantata dai componenti di Zanna del Sole, sorta di Bella Ciao fantascientifica) fa rivivere echi di guerra civile spagnola e/o cubana. Lo stesso protagonista, Crin, che abbandona la vita agiata in favore della guerriglia, ricorda Ernesto Guevara – e il rivoluzionario argentino viene anche citato esplicitamente.

Dougram pone in primissimo piano, con rigore ed esemplare cura dialogica, relazioni interpersonali, tattiche militari e macchinazioni politiche: ne sono prova le numerose discussioni della famiglia di Crin sugli esiti e le conseguenze del conflitto (la vendite di armi, il consumo di materie prime, le opinioni politiche dei vari Stati), o le strategie con cui Zanna del Sole e i suoi avversari portano avanti le loro battaglie, pensando a mille variabili come l’umore delle truppe, le munizioni rimaste, le implicazioni morali di una sconfitta, la conformazione geografica del terreno, le spese militari, lo stress del pilota Crin… addirittura lo stato del carburante del gigantesco Dougram. In questo senso, per l’appassionato di Storia robotica, Dougram segna un altro passo in avanti verso la creazione del Robot Realistico teorizzato da Yoshiyuki Tomino: come in Gundam, anche in questo caso il robottone protagonista è invincibile e palesemente superiore ai suoi avversari come potenza bellica (qui i veri robot realistici continuano a essere le unità prodotte in serie, i Combat Armor Soltic), ma è sempre più smitizzato nel suo ruolo, sempre più vulnerabile, più dipendente dalle debolezze psicologiche del suo pilota, tanto che in più di un’occasione è costretto a ritirarsi o addirittura a fuggire dai campi di battaglia perché rimasto disarmato, o senza carburante. Sul piano estetico, poi, il robottone è tutt’altro che attraente: un design appena appena funzionale, che più sobrio, misurato e insignificante di così si muore, bene in linea con i dettami di credibilità perseguiti dal regista.

Il forte realismo di fondo è ricorrente in ogni aspetto della trama, toccando caratterizzazioni psicologiche complesse, analisi dei rapporti familiari e delle visioni della politica, riflessioni filosofiche sul ruolo delle idee, delle rivoluzioni e della mentalità degli individui nella Storia, rapporti interpersonali di qualsiasi tipo lontani da artifizi da romanzo d’appendice, tragiche e inaspettate morti dovute a pura sfortuna e non a immolazioni eroiche, crudo realismo degli scenari di guerra (ospedali militari, campi minati, soldati impazziti per lo stress), e così via.

Interessante poi il ruolo dei componenti di Zanna del Sole, non passivi spettatori delle battaglie del Dougram ma alleati importanti che, con le loro armi (solitamente fucili o bazooka), intervengono attivamente aiutando Crin a sopravvivere agli scontri più duri.

Quello che però veramente stupisce dell’opera è come Takahashi imbastisca una storia lunga, minuziosa e dai tempi narrativi pachidermici (il soggetto principale procede con una lentezza esasperante, salvo poi esplodere nelle ultime quindici puntate) senza annoiare mai. Rispetto ai lavori successivi, maniacali a livelli tanto estremi da risultare gelidi, il regista trova in Dougram il perfetto equilibrio tra intermezzi action e didascalici, presentando un coinvolgente dramma che, nonostante la densità di contenuti, non tedia, anche a dispetto di una veste grafica vintage (ma non per questo inespressiva), di protagonisti non irresistibili e di una colonna sonora dimenticabile e ripetitiva.

L’ottimo indice di ascolto ottenuto all’epoca testimonia l’apprezzamento del pubblico, che evidentemente ha percepito la novità rispetto ai soliti rituali del genere robotico. Dougram è una cronaca appassionante di una immaginaria guerra civile; seria e attenta ai personaggi anziché persa in infinite battaglie tra robot – quasi sempre relegate, invece, agli ultimi tre minuti di episodio, tanto per fornire a Sunrise e al produttore, la catena di giocattoli Takara, il contentino.

Chiude poi la vicenda un finale amaro e disilluso, in piena linea con le premesse di realismo politico. Decisamente, si tratta di una serie indimenticabile, che rimane tra quelle imprescindibili del genere robotico, fosse anche solo per la sua estrema unicità.

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